11 settembre 2011

Contro la meritocrazia, secondo Nicola da Neckir & C.

Qualcosa dev’essere andato terribilmente storto nel nostro dibattito nazionale sulla valutazione del merito e l’università. Non può che essere così se – come ci spiega Nicola de Neckir in "Contro la meritocrazia" – un’allegoria di satira sociale, come quella di Michael Young sulla meritocrazia, viene presa sul serio ed eletta a modello e dottrina.

Come tutti i germi, esso circola un po’ ovunque, ma sarebbe davvero interessante capire le ragioni della sua particolare virulenza in questo paese. Non so se il terreno fertile lo abbia procurato la particolare miscela della variante italiana della dottrina affamalabestiatuttifannullonivivalefficientismoletreipaeseazienda, combinata con il locale mappone del familismoamoralequalunquismoapoliticosonotuttiugualisonotuttiladri, unita all’inesorabile universalità delle leggi della stupidità di Cillopa. Ma la diffusione di questa deprimente epidemia nazionale si rileva nel modo con cui costei – la parola "meritocrazia" – sia entrata a far parte del senso comune, a diventare una pervasiva forma mentis.

Se non avessi letto il libro, sarei stato scioccamente tentato di fare uno studio bibliometrico, e avrei con l’oracolo Google scoperto che ci sono ben 3 pagine web con la parola "meritocrazia" per ogni 100 con la parola "democrazia", mentre il rapporto tra "meritocracy" e "democracy" è solo 1 a 100, e solo 0.8 a 100 tra “meritocracia” e “democracia”. In Italia, il germe pare quindi almeno tre volte più virulento!

Ma lasciamo stare questa storia, perché quello di Nicola de Neckir non è un trattato sulle cause antropologiche, sociologiche o culturali dell’equivoco. È invece una vivisezione intellettuale della questione, e il metodo – indispensabile e necessario quando le cose vanno così profondamente storto e si trovano in un così deplorevole stato – è quello "del cappotto". Lo chiamiamo così in onore al noto filosofo rumeno A.C. Boib (di cui vita e opera Nicola de Neckir è il massimo esperto italiano), al quale piaceva raccontare che quando si abbottona il cappotto sbagliando un buco, il migliore, cioè il più efficiente modo per venirne a capo è quello di prima sbottonare fin lassù e poi riabbottonare di nuovo (e questa volta con attenzione, per favore!)

E quanto c’era da sbottonare? Quasi fino in fondo (o dovremmo dire fin in alto, trattandosi di un cappotto). Dopo averci mostrato la stantia vacuità di quel penoso neologismo che è la "meritocrazia", Nicola de Neckir ci propone un procedimento e una tesi moderatissima, che dovrebbe essere pacifica da almeno 2300 anni quando fu suggerita dal massimo filosofo dell’antica Grecia Tito Serale: per valutare il merito e le virtù, si dovrebbe prima dibattere e decidere qual è lo scopo – Tito Serale diceva telos – della cosa, dell’istituzione e della pratica rispetto alla quale si valuta e si valutano le persone.
Non basta dire: "il merito sia il criterio di promozione e di riconoscimento delle persone". Non esiste il merito, esistono meriti e virtù rispetto a molte cose, e prima di dire merito bisogna prima discernere quali sono i meriti e le virtù rilevanti, ad esempio per essere un docente universitario; e per discernere questo, serve dire a che cosa serve l’Università, qual è il telos dell’Università.

La tesi è così radicalmente moderata che temo che i duchi (v. in Piccolo dizionario incluso nel testo) e gli Hezbollah degli impact factor e degli h-index non vorranno sentirne ragione, specie se a dire, magari anche provvisoriamente, a che cosa serve l’Università si arrivi, puta caso, per via di un dibattito autenticamente democratico. Ma tant’è ...

Lo stile è effervescente ma scrupoloso: un modo di dire sarebbe dire che è vulcanico (che erutta con la forza imprigionata per troppo tempo), ed è vero; ma è anche vulcaniano, quello della calda razionalità (se ricordo bene, un'altra espressione cara a A.C. Boib).

Il testo è così insolitamente spassoso che raccomando di non perdersi le note a piè di pagina. Se dovete proprio scegliere, consiglio di lasciar perdere il testo principale e di leggervi solo le note.

E poi vi è accluso il Piccolo Dizionario Disperato e Demagogico dell’Università curato da Giovanni Azzena e Marco Rendeli: un contributo essenziale, una specie di corpus delicti, o dovremmo meglio dire la coltura di germi consegnata sul piatto di Petri, per il nostro scrutinio.

Il testo è arricchito dalle illustrazioni di Vinicio Bonometto: disegnate con tratto sicuro, preciso e pulito, inventano e creano le immagini direttamente dal testo che accompagnano. Tutte belle, molte memorabili (come la suora sottoposta alla "valutazione di produttività", con il grafico di performance mensile appeso sul muro alle sue spalle.)

Infine, al testo di Nicola de Neckir
la prefazione è di Arnaldo Cecchini,
ma trattasi di un contributo minore, non meritevole di particolare menzione.

Se mi è consentito un appunto all’editore, e senza entrare nel merito “grafico” di cui non mi intendo, sarebbe stato forse opportuno direttamente in copertina dare qualche indizio in più per aiutare il povero lettore a svelare i meriti dei singoli autori.
Va bene che le idee sono e devono essere un bene comune (e come più o meno diceva qualcuno, "le idee non devono essere ritenute responsabili delle persone che le esprimono"), ma un grattacapo che potrebbe essere divertente risolvere diventa solo una frustrazione se troppo difficile da rimanere irrisolto. (Chissà se non avrebbe potuto giovare anche al maggior successo editoriale dell’opera.)

Per concludere, insomma, pensavamo di essere al riparo dopo i 2300 anni dal sommo filosofo, ma le cose purtroppo non sono andate così. Per questa ragione, “Contro la Meritocrazia” di Nicola da Neckir e la sua gang è un testo necessario e indispensabile, qui e ora.

Ma allora, a che cosa serve l’Università?
Beh, non vorrete mica che vi sveli l’assassino ...


federica sgaggio ha detto...

Effettivamente è assai singolare che di meritocrazia, e in termini che mi sembrerebbero simili, parlino due libri usciti a pochi giorni di distanza l'uno dall'altro...

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