18 marzo 2012

L'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori: l'ultimo baluardo prima della barbarie

Uso parole forti ma ci sono momenti in cui non possiamo usare quelle deboli, melliflue. Ci sono momenti in cui non retrocedere è l'unica strada percorribile.

Lo dico da avvocato dei lavoratori, di quei soggetti deboli del rapporto di lavoro troppo spesso, negli ultimi dieci anni, trattati solo come fannulloni o fanfaroni, lavativi.

E sì, perché è da 10 anni che in Italia il diritto del lavoro cammina come i gamberi, togliendo costantemente tutele, garanzie, diritti.

È per questo che l'articolo 18 non deve essere toccato e non necessita di nessuna manutenzione.

Voi non vi immaginate cosa significa dire a qualcuno che è stato appena licenziato: "mi dispiace, anche se non potevano farlo, al massimo recuperi un po' di soldi."

Oggi, in una società che consente solo a pochissimi di cambiare lavoro (alle volte solo a qualche furbetto) l'eliminazione dell'unica garanzia contro il licenziamento senza giusta causa è una barbarie.

Lo dico con fermezza e spero che nel Paese si mobiliti una grande opposizione.

Giuseppe Pala ha detto...

“Il licenziamento di un lavoratore, se intimato senza giusta causa o giustificato motivo, può essere annullato dal giudice. Questi, oltre a dichiarare nullo il licenziamento, può disporre il reintegro dell'interessato nel posto di lavoro, oltre al risarcimento del danno subito, e al mantenimento di ruolo, mansioni, inquadramento, anzianità e ferie.”
La sintesi è mia, ma credo di aver colto lo spirito della norma.

Per quanto ormai da anni vari governi continuino a volerlo modificare, continuo a non capire cosa ci sia di così iniquo nel famigerato articolo 18 dello Statuto del Lavoratori.

Sembra che alcune teste d'uovo del Governo vedano in questa norma un ostacolo a possibili investimenti di aziende italiane e straniere nel nostro Paese. Se questa visione fosse corretta, avremmo dovuto aspettarci, ad esempio, che la Fiat fabbricasse le proprie auto nel Regno Unito, in Germania o in Svezia: paesi dove le tutele dell'articolo 18 non esistono. Invece la Fiat ha impianti in tutt'altri paesi, come Turchia, Polonia e Brasile. In Svezia, addirittura, una gloriosa casa costruttrice di automobili, aerei e camion ha recentemente chiuso i battenti. E in Svezia l'articolo 18 non c'è. Neanche in Finlandia esiste l'articolo 18, eppure il mio telefonino Nokia – vedo - è stato fabbricato in Ungheria.

E se fosse – tanto per fare un'ipotesi - che l'articolo 18 non ha alcuna influenza sulla delocalizzazione degli impianti di produzione?
E se ci si accorgesse – per dire - che la Fiat produce le sue sciccosissime 500 in Polonia perchè lì i salari sono un quinto di quelli italiani?
Se fosse che le teste d'uovo di cui sopra progettino riforme “epocali” col solo scopo di blandire le agenzie di rating, per provare ad allentare la morsa della grande speculazione internazionale a danno del nostro Paese?
E se fosse che gli speculatori internazionali sono più cinici e avidi dei nostri stessi governanti e con le nostre riforme di facciata ci si puliscono il culo?

esu paolo ha detto...

tutta colpa dell'art.18...se le aziende estere non investono in Italia...qui l'energia costa poco...le infrastrutture ci sono tutte,i politici non sono corrotti e collusi,le organizzazioni criminali sono state debellate,non si pagano tangenti e il pizzo non esiste...

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