07 marzo 2012

Della parità di genere, in politica

C'è un argomento sulla presenza delle donne in politica e nei ruoli di governo, un argomento che chiamerei - provvisoriamente - della "parità meritocratica".

La linea di pensiero in questione ragiona grossomodo così: "le donne sono (possono essere) preparate e competenti quanto gli uomini, e per questo possono concorrere ed assumere ruoli e incarichi di responsabilità e di guida tanto quanto gli uomini".

Ebbene, a me questo pare solo un argomento minimale, diremmo utilitaristico, a favore del pari titolo delle donne a concorrere alle cariche di governo. Ma non mi pare una ragione sufficiente per sostenere la parità di genere. Insomma, mi pare una ragione minimale, ma non la giusta ragione.

Ora, è del tutto vero - ovviamente! serve ancora dirlo? - che le donne sono e possono essere preparate e competenti quanto gli uomini. (Le statistiche della mia personale esperienza di docente universitario mi dicono anche un pelino in più, ma per quello che sto andando a dire, può bastare fermarsi qui).

Lo sono, ma anche se - anche se - non lo fossero, vi è una ragione - che a me convince - per una loro maggiore presenza in politica.

E questa ragione non è quella di sopra, della parità di genere perché siamo o possiamo essere uguali (per competenze e preparazione), bensì è la ragione della parità perché siamo o possiamo essere ... diversi.

Non occorre infatti essere psicologi, o antropologi o dedicarsi alla fisiologia speculativa per riconoscere molte possibili fonti di queste diversità.

E sono queste possibilità di diversità, anche se non sappiamo bene - come io credo di non sapere - fin dove si estendano, ad essere la ragione per una parità di rappresentanza e presenza delle donne nei ruoli di responsabilità di governo. (Anzi, forse precisamente perché non possiamo sapere fin dove si estendono le differenze, nel dubbio, la parità parrebbe, per così dire, un buon principio di precauzione.)

Le differenze tra persone in generale sono ovviamente molte, ma forse non tutte hanno una rilevanza politica. Forse avere cappelli lunghi o corti, occhi marrone o azzurri, essere bassi o alti, non sono differenze rilevanti. Anzi, direi che non lo siano. Quella di genere invece sì.

Chi pensa che bastano le competenze dovrebbe essere conseguente e sostenere che la democrazia vada abolita. Infatti, se su ogni questione esiste una soluzione "ottimale" che è bene che sia implementata dal migliore e più compente tecnico che ci sia, allora a che ci serve la democrazia come metodo per discutere e confrontare le diverse istanze e ragioni di giustizia e come metodo di selezione della classe dirigente? Ahimè, ma grazie a dio!, nella democrazia (costituzionale) l'intreccio tra conoscenza (tecnica), rappresentanza, rispetto dei diritti delle minoranze, rapporto con l'altro è molto più articolato. E le competenze non sono tutto, conta anche come si portano le istanze, quali sono, chi le porta, chi le tratta, chi le affronta, come lo fa, ...

Per capirci con un esempio, la nostra Costituzione repubblicana è forse venuta straordinaria perché l'Assemblea Costituente fu composta dai più competenti giuristi esperti di diritto costituzionale? o non piuttosto perché ne facevano parte rappresentanti ed espressioni di diverse classi, ceti ed estrazioni economiche, sociali, territoriali, oltreché di culture politiche? (Poche donne, vero.)

Tutto ciò che sto dicendo non è forse particolarmente originale, altri l'hanno detto e pensato, anche se può giovare ribadire le cose.

Ciò che invece può essere di qualche interesse è la mia esperienza degli ultimi tre mesi, durante i quali ho avuto l'onore e il privilegio di far parte di un comitato elettorale che sosteneva la candidatura alle primarie di Alghero di una donna. Un comitato composto da persone di ogni età e ceto sociale, ma in larga maggioranza donne. E ho potuto cercare di capire meglio le diversità di cui parlo.
Non si è mai trattato di diversità banali. Non è che queste donne sono state tutte uguali tra loro e tutte ugualmente diverse da tutti gli uomini, anch'essi a loro volta tra loro tutti uguali. Siamo stati tutti ciascuno uno diverso dall'altro, uno ad uno e una ad una: riflessivi e impulsivi, "emotivi" e "razionali", saggi e improvvidi. Questi attributi da luoghi comuni, da pregiudizi tradizionali, queste distinzioni un po' sciocche da "gli uomini vengono da Marte, le donne da Venere", non sono mai state le differenze specifiche in questione.

E tuttavia, le differenze, non banali, ci sono, ci devono essere, ci possono essere.

Ebbene, sono queste differenze - non solo nei contenuti delle istanze che si portano, ma soprattutto nei modi di pensarle, di portarle avanti, di difenderle, le diversità nei modi di pensare l'altro, di cercare di comprendere e di parlare con l'altro - ciò di cui non ci possiamo privare in politica. Se una differenza rilevante e immanente appartiene alla metà dell'umanità, essa non può restar fuori dalla politica, dal dibattito pubblico, e dalla stanza dei bottoni. E' una questione di qualità delle decisioni e del modo di governare, ed è una questione di qualità della nostra democrazia.

Se dovessi riassumere quello che sto dicendo, lo fare così: siamo uguali e sviluppare competenze e conoscenze, e sin qui siamo nella parità meritocratica. Ma non è questa uguaglianza ad essere la sola e la sola giusta ragione per una maggiore presenza di donne e per la parità di genere nei ruoli di direzione e di governo.
La giusta ragione della parità non è l'uguaglianza, ma piuttosto le possibili diversità: la parità di genere in politica non perché siamo o possiamo essere uguali, ma perché siamo o vi è la possibilità che possiamo essere diversi.

Penso che il crescente protagonismo delle donne in politica sia uno dei più epocali mutamenti democratici e una delle più grandi forze progressive oggi in campo. La politica ne uscirà radicalmente trasformata e rinnovata.

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